La speranza è una risorsa fondamentale per tutte e tutti noi, anche se a volte può sembrare che scarseggi. È quasi naturale provare scoramento e sfiducia pensando, ad esempio, a quanto (non) emerso da un evento lungamente atteso come la recente COP26 di Glasgow. L’ennesima occasione in cui la classe politica globale ha mostrato tutte le debolezze che ci hanno condotto alla crisi climatica in corso.

Ma a fare da contraltare alle mancanze di chi ci governa e al greenwashing delle aziende fossili, c’è fortunatamente la società civile. Organizzazioni, movimenti, singole persone, il cui attivismo, anche nel 2021, ha portato a diverse vittorie fondamentali per il presente e il futuro del pianeta. Eccone alcune.

GIUSTIZIA CLIMATICA IN TRIBUNALE

Paesi Bassi, Germania, Francia. In questi Paesi, nel corso del 2021, sono arrivate importanti sentenze di tribunali che hanno imposto a multinazionali (come Shell) o a Stati (come Francia e Germania, per l’appunto) di modificare le proprie politiche climatiche. Con un verdetto storico, lo scorso 26 maggio un tribunale dei Paesi Bassi ha stabilito che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del pianeta. Per la prima volta una grande compagnia di combustibili fossili viene ritenuta responsabile di aver contribuito ai cambiamenti climatici e le viene imposto di ridurre le proprie emissioni di carbonio.

Secondo il verdetto, Shell – una delle 10 compagnie più inquinanti del mondo – deve ora cambiare radicalmente rotta e ridurre le sue emissioni di CO2 del 45% entro il 2030, in linea con l’obiettivo di mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi Centigradi. La causa nei confronti di Shell è stata portata avanti da Friends of the Earth Paesi Bassi (Milieudefensie), insieme a Greenpeace Paesi Bassi, ActionAid, Both ENDS, Fossielvrij NL, Jongeren Milieu Actief, il Waddenvereniging e 17.379 singoli co-ricorrenti.

In Francia, invece, il tribunale amministrativo di Parigi – nell’ambito di un procedimento avviato grazie a Notre Affaire à Tous, Fondazione Nicolas Hulot, Greenpeace Francia e Oxfam Francia – ha stabilito che il Paese transalpino non ha mantenuto gli impegni nella lotta ai cambiamenti climatici, emettendo tra il 2015 e il 2018 circa 15 milioni di tonnellate di gas serra in eccesso. La Francia dovrà ora rimediare, prendendo tutte le misure necessarie entro la fine del 2022.

Una situazione analoga si è presentata in Germania, dove Greenpeace ha sostenuto un gruppo di giovani attiviste e attivisti nel presentare una causa legale contro la legge federale sulla protezione del clima (Germany’s Federal Climate Protection Act), perché considerata insufficiente a fermare il cambiamento climatico e non in linea con la Costituzione tedesca. 

Con una sentenza innovativa, la Corte costituzionale federale tedesca ha dunque ordinato al governo di riconsiderare e rendere più trasparenti, entro la fine del 2022, gli obiettivi di riduzione delle emissioni dal 2031 in poi. A una settimana dalla sentenza, il governo tedesco ha annunciato di voler diminuire le emissioni di gas serra del 65% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), per poi raggiungere la neutralità climatica entro il 2045. Un passo in avanti, anche se non ancora sufficiente.

PIÙ TRASPARENZA A TUTELA DI CITTADINE E CITTADINI

Greenpeace activists take action in Venice, together with local movements like Climate Defense Unit, No Pfas and concerned mothers, to ask the local authorities to clean up the Miteni site, an Italian chemical company

Troppo spesso chi amministra dimentica principi fondamentali come l’ascolto e la trasparenza. È quanto avvenuto a Schivenoglia (Mantova), cittadina in cui da anni, con il supporto di Greenpeace Italia, il comitato locale G.A.E.T.A. porta avanti un’efficace vertenza sulla costruzione di nuovi allevamenti intensivi dell’azienda Biopig, del gruppo Cascone. Lo scorso 5 febbraio il TAR di Brescia ha accolto il nostro ricorso contro la decisione del Comune di Schivenoglia di ignorare l’istanza presentata dalla nostra associazione, condannando l’amministrazione alle spese processuali. A distanza di mesi quel progetto è ancora fermo, a conferma della sua opacità e dell’importanza di ascoltare la voce di comitati e associazioni, soprattutto quando in gioco ci sono gli impatti dannosi che gli allevamenti intensivi hanno sul territorio.

Un altro TAR, quello del Veneto, ad aprile ha accolto i ricorsi presentati dalle Mamme No PFAS e da Greenpeace Italia, in seguito al diniego da parte delle autorità regionali di fornire i dati completi relativi alla presenza di PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) negli alimenti. Dati che, a settembre, Greenpeace Italia e Mamme NO PFAS hanno messo a disposizione della comunità scientifica, e che sono diventati oggetto dello studio “Sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti dell’area rossa del Veneto”, pubblicato dalla rivista scientifica “Epidemiologia & Prevenzione”.

STOP NUOVI PROGETTI FOSSILI

Approximately 500 people attend the protests held at Muizenberg, Cape Town. People across South Africa are vehemently opposing Shell’s plans to conduct seismic blasting in the Wild Coast. The seismic blasting threatens to destroy precious ecosystems and impact local communities.

Una doppia battuta d’arresto per nuovi piani di sfruttamento di fonti fossili si è registrata nelle ultime settimane in due diverse aree del Pianeta.

Ieri, in Sudafrica, l’Alta Corte di Grahamstown ha ordinato a Shell di interrompere immediatamente la ricerca di idrocarburi, condotta tramite pericolosi test sismici, al largo della Wild Coast, un ecosistema marino molto vulnerabile. La multinazionale dell’oil&gas, secondo la corte, prima di iniziare la ricerca di idrocarburi aveva il dovere di consultare le comunità e le persone che avrebbero subito gli impatti dell’operazione, cosa che Shell non ha fatto. Il giudice ha dunque stabilito che il diritto di esplorazione, assegnato sulla base di un processo di consultazione sostanzialmente viziato, è quindi illegale e non valido.

Nel Regno Unito, invece, poche settimane fa la stessa Shell, uno dei principali finanziatori del giacimento petrolifero Cambo, ha ritirato il sostegno al progetto, lasciando in pratica il solo governo britannico a supportare questo piano di sfruttamento di fonti fossili. Greenpeace chiede ai governi di porre fine all’era dei combustibili fossili, per investire seriamente in energie rinnovabili e in una giusta transizione per le comunità e per le lavoratrici e i lavoratori.

CARBONE ADDIO

Greenpeace France activists are demonstrating outside several Generali offices in France. They are demanding that the insurer rigorously applies its coal exclusion policy to coal-dependent countries like the Czech Republic and Poland.

Con la pubblicazione della nuova “Strategia del Gruppo Generali sul Cambiamento climatico”, nel giugno 2021 Assicurazioni Generali ha finalmente accolto le richieste di ReCommon e Greenpeace, adottando un piano di decarbonizzazione robusto e coerente. Le pressioni delle due organizzazioni per spingere il Leone di Trieste a interrompere il suo ostinato supporto al carbone sono durate più di tre anni.

Generali ha dunque finalmente compiuto un passo deciso nella lotta alla crisi climatica, abbandonando in maniera definitiva il carbone, oltre che il gas fossile e il petrolio estratti con le metodologie più impattanti. Queste decisioni devono però essere un punto di partenza, non di arrivo.

Il gruppo triestino non è l’unica realtà ad aver avviato l’addio alla fonte fossile più impattante sul clima del Pianeta. A inizio anno, diversi tra i maggiori sostenitori economici del carbone, come Corea del Sud e Giappone, hanno annunciato di aver intrapreso una strada simile. Così come, nel settembre 2021, il presidente cinese Xi Jinping si è impegnato affinché la Cina non finanzi nessun nuovo progetto in carbone all’estero. Un passo importante, ma sarebbe fondamentale per la salute del suo popolo e del Pianeta intero che la Cina segua ora un percorso simile a livello nazionale.

NIENTE FONDI PUBBLICI PER I PROGETTI DI ENI DI CATTURA DI CO2

Greenpeace Italy activists have taken action on the “Porto Corsini” platform, off the coast of Ravenna, to denounce the “Pact of ecological fiction” which binds Italy to fossil fuels such as gas and oil. Greenpeace protest intends to denounce both the climate impact of large companies of fossil fuels such as ENI, and the Italian government’s inaction against the climate crisis.

La pressione della società civile – condotta, tra gli altri, da movimenti e organizzazioni come Greenpeace Italia, Per il clima fuori dal fossile, ReCommon, Fridays for future e NOCCS Il Futuro non si stocca – ha portato nelle ultime ore all’esclusione della tecnologia Carbon dioxide Capture & Utilization or Storage (CCUS) dal Fondo per il sostegno alla transizione industriale, con una dotazione di 150 milioni di euro, stanziato dal MiSE. 

Come riportato anche dal quotidiano Domani, a questo fondo avrebbe potuto attingere ENI per finanziare un impianto basato sulla tecnologia CCUS a Ravenna. Un progetto, tra l’altro, di recente già bocciato dalla Comunità Europea e, ancor prima, escluso a inizio 2021 dai fondi del Recovery plan.

Da diversi decenni le aziende fossili cercano di promuovere progetti per catturare e stoccare l’anidride carbonica, ma finora con scarsi risultati, a fronte di molti miliardi di investimenti bruciati. Non è con false soluzioni come il CCS che possiamo contrastare la crisi climatica. Occorre che le grandi aziende dell’oil&gas come ENI cambino radicalmente le proprie prospettive industriali, puntando sulle energie rinnovabili e non più su quei combustibili fossili che sono solo benzina sul fuoco dell’emergenza climatica in corso.